Tanto, tanto tempo fa, in un bosco buio e profondo chiamato Sdricca, in un antro umido e scomodo scavato nella roccia, viveva una vecchina che si chiamava Igea.
Igea aveva la schiena ricurva e la sua pelle sembrava cartapesta, tante erano le rughe che le solcavano la fronte, ma era molto saggia e curava con le erbe dei prati tutti gli animaletti del bosco. Nel suo calderone nero che bolliva da sera a mattina e da mattina a sera sapeva preparare pozioni magiche che davano risultati eccezionali.
Un giorno il folletto Marangone, buffo con la sua casacca rossa e i suoi due piedoni a punta, venne a trovare la sua amica Igea e le raccontò le ultime notizie del bosco. Le disse come stava Nello il pipistrello, che aveva ancora paura di volare di notte, le parlò di Mina la fatina, che colorava il cielo con i colori dell’arcobaleno, della volpe Rica che non riusciva a stare senza la mamma un secondo e, infine, le parlò di Ciccio il riccio che, per una strana ragione, aveva iniziato a perdere tutti i suoi aculei e a dimagrire a vista d’occhio... prima era proprio bello, tondo a pallina, e ora era magro come un fuscello!
La mamma di Ciccio il riccio e il suo papà Poci avevano interpellato il Gufo Saggio, il quale non aveva capito assolutamente quale fosse il problema del piccino, nonostante avesse consultato il vecchio Libro dei perché custodito sotto la vecchia quercia.
Il piccolo riccio intanto si sentiva sempre stanco, non aveva voglia di giocare con gli amici del vicinato, il suo umore era triste, non aveva tanto appetito e il suo pancino era spesso gonfio e dolorante (nemmeno le tazze profumate del fiore di camomilla lo calmavano)... La mamma lo rimproverava perché lasciava sempre nel piatto di gusci di noce le bacche rosso vermiglio che lei la sera raccoglieva con tanto amore. Di notte Ciccio non dormiva sereno e i suoi sogni erano piuttosto incubi in cui spesso compariva l’acchiappa-sogni che gli faceva tanta paura...
Igea, la vecchia del bosco della Sdricca, ascoltò commossa il racconto del folletto Marangone e pensò di recarsi presto in visita al piccolo riccio. Indossò il suo vecchio capello a tesa larga che la riparava dal sole e dalla pioggia, mise ai piedi dei grossi scarponi logori e, al calar della sera, quando tutte le stelline si accendono nel cielo, si mise in viaggio accompagnata dalla sua fidata gattina nera di nome Gigia: nel buio, gli occhi gialli del suo amico felino le avrebbero indicato la giusta via.
Il cammino durò diverse ore prima che Igea trovasse la tana della famiglia dei ricci, una vecchia ciabatta abbandonata lungo le rive del fiume. Bussò alla porta e venne ricevuta e fatta entrare all’interno della simpatica abitazione dove tutto era in perfetto ordine e profumava di pulito.
Ciccio se ne stava diffidente in un cantuccio, Igea lo accarezzò, gli guardò gli occhietti, gli fece tirar fuori la lingua (come odiava lui questa richiesta fattagli da tanti medici del bosco!) e con un piccolo bastone di nocciolo lungo e sottile gli toccò il pancino che spesso aveva gonfio e dolorante. Ciccio si addormentò e null'altro accadde... la vecchia scosse il capo e, con fare pensieroso, chiese alla mamma di cosa mai Ciccio andasse ghiotto. "Di dolci, pizza e pane..." rispose prontamente la donna, “e non gli piacciono le verdurine fresche e la frutta del nostro orticello”.
E già... era risaputo che il piccolo riccio andava pazzo per queste prelibatezze!
Igea si riservò di tornare al più presto con la soluzione per il misterioso malessere. "Fidati di me", disse la vecchia al piccolo riccio, ”dovrà per due volte tramontare il sole e io avrò il rimedio per te!”.
Nella mente di Igea si stava facendo strada la convinzione che, se fosse prontamente partita alla volta del monte Roccioso, sarebbe stata confermata dall’orco Bilaccio. Decise così di portare con se' il piccolo riccio, lo fece entrare in una vecchia gerla che mise sulla schiena e gli disse di stare tranquillo e nascosto.
Si incamminò quindi con passo veloce e spedito su per il viottolo che saliva ripido verso la parte della montagna che rimaneva più in ombra. Era estate e faceva molto caldo, la gattina Gigia faceva fatica a tenere il passo della vecchia, ma si sforzava di non perdere il sentiero e la sua padrona.
Ecco ad un tratto aprirsi uno spazio ombreggiato alla fine del quale si trovava una grotta buia e nascosta da frasche di acacia. Un topino con un berretto a pallini e una camicia rosa se ne stava sdraiato con le braccia dietro alla nuca su di un cesto vecchio e logoro. Quando vide arrivare Igea il topino si alzò di scatto risvegliandosi dal sonno del primo pomeriggio e chiese “Chi va là?” “La vecchia Igea, saggia del bosco” rispose la donna, “sono qui perché vorrei incontrare l’orco Bilaccio per un consulto quanto mai urgente”. Il topino si alzò con fare indispettito sulle zampine posteriori, come colui che vuole essere forte e fiero, e le disse: “Donna, tu sai che prima di accedere alla grotta dovrai superare tre prove? La prima prova è di astuzia, la seconda di bontà e la terza di pazienza..."
Fu così che Igea dovette dapprima rispondere ad un indovinello custodito in un libro vecchio e polveroso che il topino estrasse da un baule di legno lasciato tempo prima dai pirati. Le fu chiesto come seconda prova di medicare con il fiore giallo della calendula le ferite alle zampe di un anziano Lupo guardiano della grotta che si era provocato profondi tagli difendendosi da un orso cattivo durante la notte. Per concludere, Igea dovette rammendare, con l’aiuto del suo gatto fedele, che ci vedeva benissimo, una giacca tutta sgualcita dell’Orco in persona (Ciccio il riccio prestò uno dei suoi aculei più appuntiti per ultimare l’operazione).
Dopo che i tre ebbero superato le prove il topino, soddisfatto, girò un'antica chiave d’argento nella serratura di un portone di ferro battuto posto all’inizio della caverna, il portone cominciò a scricchiolare e, con un tonfo sordo, si aprì. Il gatto, Igea e Ciccio il riccio, nascosto tutto tremante nella gerla, entrarono in una galleria buia ed umida, gocce d’acqua cadevano pesantemente dal soffitto...
Il topino, con passo lento e stanco, faceva strada illuminando il cammino con una candela dalla luce fioca.
Ad un tratto un grosso urlo fece tremare le pareti di roccia, e il gruppetto si fermò di colpo.
L’Orco Bilaccio comparve in tutta la sua mole: era grande, peloso con un naso ciondolante sino alla bocca ampia da cui sbucavano dentacci gialli e affilati: “Chi disturba il mio sonno in queste ore calde del pomeriggio?!“ Ciccio il riccio dal suo nascondiglio si sentì raggelare... e Igea, con voce gentile ma sicura, rispose: “Sono la vecchia saggia del bosco, vengo da te per un consiglio e ti porto in dono una pietra d’ambra dai colori caldi che potrai appendere al collo come ciondolo prezioso”, così dicendo estrasse dalla tasca il monile e lo posò ai piedi del grande Orco che la guardò con aria diffidente. “Accomodatevi”, bofonchiò dopo aver afferrato con la mano pelosa il prezioso gioiello.
Igea raccontò all'Orco di Ciccio il riccio e l'uomo soffregò pensieroso la sua barba ispida ed incolta... quindi da un armadio di legno massiccio tolse una scatola di velluto rosso, l’aprì e ne trasse un pezzo di vetro colorato, era un vetro fatato che aveva ricevuto in dono dalla Principessa Carlotta quando, grazie ad un piano astuto, l’aveva salvata dalle grinfie del perfido Mago Lidra.
L'orco posò il pezzo di vetro sotto un raggio di luce e questo si illuminò di una miriade di bagliori colorati che inondarono l'antro della caverna. Bilaccio osservò con attenzione quell'esplosione di colori, quindi sentenziò: "Ciccio il riccio non può mangiare il glutine e tutto ciò che lo contiene, questo per lui è dannoso! Cosi vedo scritto nei colori dell’iride miracolosa".
La vecchia Igea vedeva confermata la sua ipotesi: il piccolo riccio non doveva mangiare i dolci, il pane e tutto ciò di cui fino ad allora era stato ghiotto... certo, sarebbe stato un bel guaio!
"Se il piccolino mangerà tutto ciò che produce il paese dei folletti, guarirà in sei lune piene", proseguì l’Orco concludendo la sua profezia, si diresse poi verso un armadio dalle vetrate colorate e ne estrasse un'ampolla contenente una sostanza di colore rosso... "Sette gocce di questa pozione dovrebbero aiutare il piccolo e restituirgli il suo bel colorito!".
Ciccio il riccio finalmente non aveva più paura, uscì tranquillo dal suo nascondiglio e, insieme alla donna e il suo fidato gatto, salutò Bilaccio. Velocemente, al tramontare del sole, i tre ripresero la strada di casa dopo aver riposto nello zainetto l'ampolla con il liquido rosso. Nel loro cammino, decisero di passare nel paese dei folletti, che si trovava in una bassa radura al limitare del bosco.
I folletti vivevano nei tronchi degli alberi, cuocevano pane e sfornavano dolci e focacce prelibate a base di riso e di mais di cui andavano ghiotte le fate dei fiori. Igea, per qualche moneta, acquistò una cesta colma di quelle prelibatezze, Ciccio il riccio cominciò a sgranocchiare qualche pasticcino e lo trovò davvero molto gustoso...
Quando giunsero a casa mamma e papà abbracciarono Ciccio, ascoltarano la strana storia del glutine... e assaggiarono insieme i nuovi cibi: erano proprio buoni! La mamma somministrò a Ciccio la pozione di color rosso, questa si rivelò molto gustosa se mescolata al succo delle fragole...
La Vecchia Igea, prima di riprendere il suo cammino, raccomandò alla mamma di Ciccio di cucinare sempre alimenti senza la sostanza che per lui si era rivelata così dannosa, in quel modo, in poco tempo, il piccolo sarebbe rifiorito. Dal canto loro i folletti avrebbero fornito in grandi quantità ciò di cui Ciccio aveva bisogno.
E così fu... trascorsero sei lune piene e Ciccio tornò ad essere bello, con gli aculei affilati e ben colorito... quell’anno, sostenuto e incoraggiato dal suo bravo papà Poci, vinse il torneo di corsa del bosco e da tutti venne definito un riccio veramente speciale!
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Fiaba per la celiachia di Rosa Rita Formica
Illustrazione di Linda Cudicio
Pubblicata su Dienneti su concessione dell'autrice ©
E' vietata ogni riproduzione, anche parziale, senza il consenso dell'autrice
Già pubblicata in un libro da AIC (Associazione Italiana Celiachia Friuli Venezia Giulia)
Della stessa autrice leggi:
Carlotta e il perfido Gluten
Endomì la detective e il prontuario
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Rosa Rita Formica, autrice della fiaba, è pedagogista. Ha lavorato per un decennio presso i Centri Diurni Psichiatrici occupandosi di riabilitazione, si è in questi ultimi anni dedicata al disagio infantile in modo sinergico ed integrato ad altre figure professionali (psicologo, mediatore familiare, educatore, insegnanti...).
Vive e lavora a Cividale del Friuli (Udine) dove utilizza i Laboratori creativi esperienziali di ascolto nell’attività pedagogica con i bambini in difficoltà.
Presta consulenza pedagogica ai genitori e agli insegnanti.
Scrive e illustra fiabe, racconti e filastrocche per bambini.
"Perché ho scritto questa fiaba..."
Sito web
Contatta Rosa Rita Formica
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Linda Cudicio, illustratrice della fiaba, è educatrice per l’infanzia e lavora da anni nelle scuole proponendo corsi di Educazione all’Immagine e laboratori creativi per bambini ed insegnanti. Partecipa a diversi mercatini di piazza esponendo le sue simpatiche creazioni (pupazzi di stoffa, burattini di gommapiuma, bijoux).
Laureatasi nel 2004 al DAMS di Gorizia (indirizzo Cinema), è stata allieva della "Scuola dell’Illustrazione di Sarmede" (TV), avvicinandosi così al mondo delle fiabe, da sempre il suo vero sogno.
Vive in campagna con il marito e la nonna nella sua piccola fattoria, dove ha ricavato il suo studio.
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Perché ho scritto questa fiaba (Rosa Rita Formica)
"Il rimedio della vecchia Igea" è stata scritta alcuni mesi dopo che mia figlia Carlotta di sei anni è stata diagnosticata celiaca. Penso di averla scritta, come tutte le fiabe che hanno un profondo valore terapeutico, non solo per lei, ma anche per me stessa.
In questa esperienza di vita, mi sono state di grande aiuto tutte le storie di sofferenza infantili che ho incontrato nel mio lavoro quotidiano di pedagogista. Il disagio, in qualsiasi forma e manifestazione io l’abbia incontrato, andava sempre ascoltato e accolto attraverso le modalità di comunicazione che, di volta in volta, i bambini mi offrivano.
Nel mio spazio di incontro con loro ecco allora comparire le matite, i fogli, la plastilina, le marionette, i travestimenti, e tutti i mille modi di esprimere e di “sentire" con colore e creatività.
In questo mondo variegato ho incontrato tante fiabe, inventate, lette, rivisitate. Queste hanno offerto degli strumenti preziosi a me e al bambino che imparavo a conoscere. Quei tanti linguaggi e quei modi particolari di comunicare mi sono tornati utili nell’affrontare l’intolleranza al glutine di mia figlia . Attraverso questo disagio, ci siamo trovati tutti in famiglia a “ridipingere e rivedere” il nostro modo di vivere. Dopo l’iniziale ed inevitabile momento di difficoltà e disorientamento, abbiamo immaginato che questa doveva diventare una occasione di crescita e cambiamento e abbiamo evitato di isolarci cercando sempre il confronto con gli altri.
Viaggiando in macchina, un giorno, mia figlia mi propose di inventare una fiaba che avesse per protagonisti degli animali, uno dei quali aveva il suo problema. Ma ci doveva essere sempre una fatina che lo aiutava. Lei iniziò a scegliere quei personaggi, a dare loro un nome. Alla fine di questo viaggio fantastico d’amore due persone, vere protagoniste di questo racconto, si sono effettivamente incontrate: io e mia figlia.
Io con la sofferenza di una mamma come tante (che vorrebbe trovare strategie e soluzioni e dare sempre risposte, pur sapendo che, nel silenzio e nella vicinanza emotiva con il proprio figlio, se si sa attendere con pazienza senza agire sempre, ci sono già quelle risposte, basta saperle cercare insieme), mia figlia con il suo disagio di una bimba di sei anni ma con tutta l’energia, le risorse, l’entusiasmo e la curiosità di una bella età.
Ecco allora il perché di questa fiaba: perché nelle fiabe tutto può accadere , tutto si risolve attraverso delle strategie ed un lieto fine.
Nel viaggio fantastico il bambino si incontra con il proprio genitore, le due esperienze emotive si intrecciano... e emozioni vengono messe in gioco, le stesse che accompagnano una diagnosi definitiva come quella della celiachia, in cui il regime alimentare diviene importante quanto un sereno approccio psicologico.
L’accettazione del bambino della propria peculiarità può avvenire solo se i genitori stessi l’hanno capita e metabolizzata: prima i familiari riescono a convivere e accettare la celiachia come occasione di cambiamento, tanto prima lo farà il loro figlio.
Parlare in famiglia di ciò che accade emotivamente attraverso strumenti quali il gioco e le fiabe possono aiutare un minore e i suoi genitori a gestire i conflitti e le paure che altrimenti rimarrebbero inespresse e sfociare magari in comportamenti problematici.
Ecco allora che le fiabe possono dare delle risposte rassicuranti alle paure, con un linguaggio appropriato che non è quello diretto e razionale bensì quello della immaginazione e del metaforico.
"I bambini ci mettono costantemente di fronte a noi stessi: vivere insieme
ai propri figli è un’opportunità meravigliosa per imparare a conoscersi"
(C.Hehenkamp)